L’incontro
ha l’obiettivo di coniugare la ricostruzione post sisma, della quale ci siamo
molto occupati dal 2016 ad oggi, con quello meno eclatante ma non meno grave
dello spopolamento dei Comuni non riguardati dal tema della ricostruzione,
nella convinzione che oggi vivere o fare impresa non è meno difficile a
Pescorocchiano di quanto non lo sia a Borbona, cioè in uno dei Comuni del
cratere, come ci dirà Di Gaspare, Sindaca del Comune. E nella convinzione che
le condizioni di vita nelle megalopoli sono sempre più insostenibili e che
tante persone vorrebbero trovare altrove condizioni di vita migliori.
Perciò con
i nostri importanti ospiti di oggi faremo il punto sulla ricostruzione,
conditio sine qua non di ogni discorso sul futuro, ma proporremo anche
un’ottica di analisi del problema, più ampia, suggerita innanzitutto dai dati
demografici.
Abbiamo messo
a confronto i dati della popolazione dei 73 Comuni della provincia di Rieti
utilizzando i dati al 31/12/2001, al 31/12/2015, l’anno antecedente al sisma e
l’ultimo dato disponibile quello al 31/12/2021.
Nel primo
confronto, 2001-2015, perdono abitanti 34 Comuni su 73, nel secondo
confronto, 2015-2021, 67 Comuni su 73.
Non
dissimile l’andamento demografico dei 15 Comuni del cratere: saldo negativo per
10 Comuni su 15 nel primo confronto e 15 su 15 nel secondo.
Esenti dal
problema spopolamento sembrano essere solo Belmonte, Fara Sabina, Montasola,
Poggio Moiano, Scandriglia, Selci e Toffia.
Lo
spopolamento di questo territorio non è un fenomeno nuovo, né recente, né
riguardante solo i nostri Comuni.
Le ondate
migratorie degli anni ‘50 e’60, quella della metà degli anni ‘70 hanno
riguardato tutto il Paese, in particolare la dorsale appenninica, ma non solo.
La sola
ondata migratoria precipua del nostro territorio è quella seguita alla
istituzione nel 1965 del Consorzio industriale Rieti – Cittaducale.
Queste tre
ondate migratorie hanno determinato:
Denatalità,
invecchiamento della popolazione e una rottura del legame tradizionale con il
territorio che non garantiva più l’equilibrio tra “risorse locali e
popolamento”.
Le imprese
in questi anni hanno mostrato una maggiore resilienza, addirittura con un
aumento (+ 5,8 % nel periodo 2001-2015, + 5,4 % nel periodo 2015-2021, + 11,5
nel periodo 2001-2021, 1618 imprese in più) seppur entro un quadro di profondo
cambiamento della consistenza dei settori (-9,5% in agricoltura, -22,5% nelle
manifatture, -6,6% nel commercio).
Molto
significativa in questi anni la perdita nel settore dell’artigianato che nel
periodo 2001-2021 perde il 3% delle imprese, ma che in realtà rispetto al suo
massimo storico (2008) perde 578 imprese, cioè il 14%.
Nei numeri
si legge quella rottura tra “risorse locali e popolamento” perché a chiudere
sono state, in tanti Comuni, le imprese che vivevano di un mercato di
prossimità che si è ridotto sempre più nel corso degli anni proprio per lo spopolamento.
Se tanta è
la fatica delle imprese esistenti a permanere in aree sempre più in difficoltà,
è praticamente insostenibile l’onere di chi un’azienda voglia attivarla.
Anche i
dati sul PIL pro-capite, ci restituiscono, con un diverso indicatore, la situazione
fin qui descritta: 15 700 euro nel 2001, 18 700 euro nel 2015, 20 100 euro nel
2020, 18.278 nel 2022 (Italia 27 900, Lazio 32 400), molte migliaia di euro in
meno della media nazionale e di quella del Lazio.
Quelli fin
qui raccontati sono dati e non c’è evidentemente nessun compiacimento nel
citarli, ma non vogliamo dire che tutto vada male: ci sono circa 280 progetti
finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, c’è un fenomeno
turistico che ci restituisce numeri incoraggianti ma forse è necessario uno
sforzo nell’adozione di strumenti che possano farci affrontare il problema
complessivamente.
Una ricerca
del Censis ha stimato che durante la pandemia sono tornate in provincia di
Rieti circa 10000 persone, un numero importante, che se fossimo riusciti a
trattenerlo avrebbe sicuramente contribuito a produrre saldi anagrafici diversi
da quelli citati.
Come già
tante volte abbiamo detto, per far sì che delle persone tornino d abitare i
nostri territori e che altre non li abbandonino è necessario prevenire la
domanda di servizi, invertendo la logica domanda-offerta.
È
necessario che i Comuni, non singolarmente, siano in grado di assicurare i
servizi essenziali: connessione alla rete, scuola, salute.
Queste
considerazioni valgono per tutti i Comuni anche per quelli dell’area del sisma,
nei quali ovviamente resta prioritaria la ricostruzione.
Di questa
non parlerò lasciando agli ospiti, in particolare il Commissario Castelli e
l’Assessora Rinaldi, l’onere di fare il punto, anche in considerazione del
fatto che un mese fa abbiamo avuto nella nostra sede un incontro molto proficuo
con il commissario, nel corso del quale gli abbiamo sottoposto una serie di
problemi, raccolti nella interlocuzione con le impresa e che potranno essere
proposte o riproposte dagli imprenditori e dalle imprenditrici presenti
Problemi
che riguardano il lavoro delle aziende ma la cui soluzione può produrre una
accelerazione dell’opera di ricostruzione.
Vorremmo
però cogliere l’occasione per suggerire, in particolare ai legislatori
rappresentati da Castelli stesso, che è senatore prima che commissario, e dal
deputato Trancassini, di adottare un approccio che per quanto attiene
all’ambito economico adotti misure strutturali che riguardano nel complesso le
aree interne e non solo quelle del cratere oppure, più in generale,
intere province nelle quali le percentuali di Comuni ricompresi nelle aree
interne siano al di sopra di una certa percentuale.
Le “aree
interne” sono aree geografiche così definite dall’articolo 174 del Trattato di
funzionamento dell’Unione Europea che partendo dall’individuazione dei Poli,
cioè dai centri di offerta di servizi essenziali (scuola, salute e mobilità),
classifica i restanti comuni in quattro fasce: aree di cintura, aree
intermedie, aree periferiche e aree ultra periferiche, sulla base della
distanza, misurata in tempo di percorrenza per raggiungere il Comune Polo.
Le aree
interne sono quelle classificate come: intermedie (27,7 minuti), periferiche
(40,9 minuti) e ultra-periferiche (66,9 minuti).
Per ridurre lo svantaggio di queste aree in Italia è stata
istituita una Agenzia Nazionale che ha elaborato una strategia di intervento
per progetti che ha coinvolto anche parte del nostro territorio. È ciò di cui
ci parlerà Gaetano Micaloni, Sindaco di Petrella Salto, capofila Strategia Area
Interna Lazio 2 Monti Reatini.
Ricordiamo
che la classificazione delle aree interne annovera tutti i Comuni della
Provincia, tranne Rieti, Cittaducale, Fara Sabina, Poggio Mirteto, Borgorose,
Contigliano, Castel Sant’Angelo, Rivodutri, Magliano, Scandriglia e Cantalice.
Così come i
progetti che riguardano solo alcuni Comuni realizzano disparità, lo stesso vale
per i “bandi” in relazione alle imprese.
Un
approccio più strutturale semplificherebbe molto la vita delle imprese, darebbe
loro delle certezze, e, soprattutto, non produrrebbe ineguaglianze che sul
mercato si traducono in un damping realizzato con le risorse dello Stato.
L’ultima provvedimento iniquo è la proroga della ZFU che riguarda le imprese
che ne erano già beneficiarie e non le nuove imprese.
In cosa si
sostanzia questa proposta?
Innanzitutto
basta “bandi” che si aprono e si chiudono, addirittura in pochi secondi, che
quasi mai coincidono con i bisogni puntuali delle aziende, e invece misure
stabili che sostengano le imprese in alcune fasi, in particolare la nascita e
l’ampliamento dimensionale, l’innovazione, il rinnovo di macchinari obsoleti.
Per la
nascita e l’accompagnamento si potrebbero utilizzate misure come “Resto al Sud”
(60000 euro per una azienda individuale, 50000 a socio/a fino ad un massimo di
200000 euro per le società, di cui 50% a fondo perduto e 50% restituibili in 8
anni con due di preammortamento), una misura che, al netto del calvario per la
rendicontazione, ha dato ottimi frutti, così come gli incentivi previsti per la
Zona Franca Urbana da utilizzare per un periodo limitato.
Ricordo che
i benefici della ZFU sono concessi sotto forma di credito d'imposta e
consentono:
a)
esenzione dalle imposte sui redditi del reddito derivante dallo svolgimento
dell’attività svolta dall’impresa nella zona franca;
b)
esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive del valore della
produzione netta derivante dallo svolgimento dell’attività svolta dall’impresa
nella zona franca;
c)
esenzione dalle imposte municipali proprie per gli immobili siti nella zona
franca per l’esercizio dell’attività economica;
d) esonero
dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali,
Per la
crescita si potrebbe prendere a modello la migliore delle tante modalità
utilizzate negli innumerevoli bandi, ognuno dei quali ne ha una propria.
Si tratta
di adottare la stessa logica che ha portato dalle otto ZES, le Zone Economiche
Speciali, istituite nel 2017, all’estensione dei benefici a tutte le regioni
del meridione Abruzzo,
Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, annunciata
la scorsa settimana, grazie alla trattativa portata avanti dal
ministro Fitto con i Commissario alla Concorrenza Vestager.
La richiesta dell’estensione è stata motivata dalla
constatazione che negli ultimi sei anni le ZES si sono rivelate scarsamente
attrattive per gli investitori internazionali e, come non bastasse, il regime
speciale nelle otto ZES ha scatenato una concorrenza spietata tra i comuni del
Sud.
Per
tutto quello che abbiamo fin qui detto, la situazione delle aree nostre aree
interne è anche peggiore di molti comuni del Sud.
Una risorsa
importante si sta affacciando per agevolare il processo che abbiamo prefigurato
ed è l’Università, ma di questo parlerà il Preside della Facoltà di Ingegneria,
il professor Carlo Casciola, che tra poco interverrà con un collegamento, non
potendo essere presente.
L’auspicio
è che questo nostro incontro sia un contributo costruttivo ad una discussione
che coinvolge Istituzioni, associazioni, imprese.
Vincenza Bufacchi